1 Agosto 2010
Località: Mesa, Phoenix, AZ
Tempo: caldo, cielo nuvoloso.
Miglia percorse: 0 (zero)
Sveglia puntata alle sette del mattino, ora locale. Il fuso orario di Phoenix è in anticipo di 9 ore per cui in realtà il mio ciclo circadiano è sintonizzato sulle 16 italiane. Non c’è da stupirsi se
non sono in forma dopo una notte passata in aereo, con l’aria condizionata a 20 gradi e su una poltrona che lascia a malapena due centimetri tra le ginocchia e la poltrona davanti. 14 ore di volo in queste condizioni sfiancano tutti, soprattutto uno col mio fisico “ingombrante”. Piccola non sta meglio di me anche perché siamo entrambi ancora sotto l’effetto della melatonina, un po’ intontiti anche se riposati.
A parte la scomodità dell’economy class, il viaggio del giorno prima è stato piuttosto tranquillo, senza ritardi ne da Pisa ne alla coincidenza al JFK di New York. Mi sono un po’ impaurito a Pisa quando al check in ci hanno rimbalzato perché non avevamo gli ESTA ma, come precedentemente raccontato, tutto si è risolto egregiamente. Ricordo ancora il sussulto al cuore alla vista delle prime terre emerse, dall’oblò del Boeing 767; l’America era proprio li sotto e la stavamo per toccare. Atterrati al JFK di New York, siamo tornati alla realtà con un paio di pesanti sberle: la prima alla dogana dove un grasso poliziotto ci ha accolto prendendoci le impronte digitali e squadrandoci da capo a piedi con aria di disprezzo. Forse perché non gli piacevamo o perché non capivamo bene la sua lingua (che non è proprio inglese inglese); o forse semplicemente perché era annoiato dal dover fare le stesse domande a tutti i turisti che arrivano tutti i giorni. Mah, problemi suoi. La seconda sberla l’abbiamo presa ad un chiosco dove abbiamo pagato la bellezza di 4,85 $ per una bottiglietta d’acqua da 1 litro. Questo ci ha fatto subito pensare che seguire la dieta potrebbe essere difficoltoso… oppure molto dispendioso. Chi se ne frega, finalmente in America!
Eccoci in piedi, un po’ spaesati. Rimettiamo in borsa le poche cose usate per la notte e andiamo a fare colazione. Nella grande hall del La Quinta Inn & Suites di Mesa, il banco della colazione è traboccante di cereali, muffin, waffel ed enormi silos di caffè (americano ovviamente) e acqua calda per il tè. C’è anche della frutta fresca. Il waffel è una specie di crépe dolce e molto alta la cui caratteristica principale consiste nel fatto che te la devi preparare da solo mettendo una dose di pastella su un’apposita griglia a spegnimento temporizzato. Solitamente si gusta con sciroppo d’acero, che è una specie di miele molto meno dolce e più liquido. Non mi fido molto del waffel ( e penso ancora di essere a dieta) per cui mi butto su yogurt e muffin accompagnati da una bella banana. Poi un lungo caffé nero e senza zucchero. Piccola, di gusti un po’ difficili, si limita a latte e cereali, standard che manterrà per quasi tutto il viaggio.
Taxiiii!!! Giallo e molto americano, ci porta finalmente al Chester’s Harley Davidson, dealer di Mesa. Per darvi un’idea delle dimensioni, fate conto di entrare all’Esselunga di Campi Bisenzio con tanto di parcheggio e condominio di fronte, area che è coperta e climatizzata al trenta per cento. E’ domenica ed il concessionario è aperto al pubblico. Il caldo ci spinge a cercare dentro un po’ d’aria condizionata. Non sto nella pelle e chiedo subito del responsabile noleggio. Anche Piccola non sta nella pelle e vola subito al reparto abbigliamento.
Nel reparto noleggio, un centinaio di metri oltre l’ingresso principale, Pam ha già le pratiche del mio contratto Fly & Ride a portata di mano. Ci aspettavano e la moto è già pronta, lucidata e col pieno. E’ un bellissimo Road King con tanto di parabrezza e tour pack, di un bel blu metallizzato. Ha anche il poggia schiena per il guidatore la cui sola vista mi disturba per cui lo faccio togliere subito.
Le operazioni di carico, grazie allo stratagemma delle borse in cordura precedentemente preparate, ci portano via appena 10 minuti quindi lascio le valige vuote a Pam (che le etichetta e le mette in magazzino) e raggiungo Piccola nello store. Giusto in tempo per riuscire ancora a scorgerla dietro la catasta dei vestiti provati: felpe, camice, stivali, magliette e tante altre cose ancora. La boutique H-D è fornitissima e il cambio euro dollaro ci aiuta: con poco più di 330$ (265 € circa) Piccola si porta via due felpe (di cui una per me), una t-shirt, un paio di stivali, un paio di occhiali da moto ed un mazzetto di spille e patches dell’ East Valley Chapter di Mesa, Arizona che è il chapter HOG resident al Chester’s Harley Davidson. La commessa addetta all’abbigliamento, Lola, è di origina calabrese e, anche se non parla una parola di italiano, tra lei e Piccola si crea un feeling e una complicità tali che mi costringono ad usare la forza (della persuasione). Paghiamo perché voglio partire.
Partiamo che sono ormai le 11 e 30 seguendo le direzioni appena controllate sul navigatore dell’iPhone. Piccola è bella comoda sulla larga sella del King, appoggiata con la schiena all’avvolgente tour pack. Prima direzione sud e poi imbocchiamo la Freeway 60 in direzione est. La Freeway 60 è immensa, ha sette corsie per ogni senso di marcia. Enormi pick up ci scorrono accanto, poco più veloci di noi, alla guida dei quali ci sono soprattutto persone dalle chiari origini sud americane.
Ad un certo punto un leggero senso di panico mi prende al petto: incantato e stordito dal solo fatto di trovarmi nel rumoroso flusso di traffico, mi rendo conto di non sapere dove diavolo stiamo andando!? Preso dalla foga, sono partito senza guardare bene e senza memorizzare le varie direzioni da prendere per arrivare a Flagstaff. Perdo presto l’orientamento… e qui non ci sono i monti della Calvana a darmi un punto di riferimento. Non ci sono piazzole di sosta dove potersi fermare a controllare l’atlante stradale. Decido quindi di uscire alla prima exit che trovo con grande sorpresa di Piccola che, presa dallo scattare decine di foto, a tutto pensava tranne che a sapere che direzione prendere. L’uscita ci porta ad un parcheggio di un mega-store. Tiro fuori l’Hand Book della HOG ma… non c’è! Cavolo! L’ho scordato in Italia e ce ne accorgiamo solo ora. Per fortuna abbiamo l’iPhone e c’è campo. Anche perché il vero problema non è sapere dove andare ma sapere dove ci si trova ed il posizionatore GPS del simpatico telefono Apple ci da una mano.
Ok, abbiamo sbagliato strada di poco, meno male. Adesso memorizzo bene i numeri delle varie strade da prendere e metto in guardia Piccola, che stia attenta un po’ anche lei. Rientrati nel flusso, dopo un po’ trovo finalmente le indicazioni per Flagstaff: Interstate Highway 17, direzione nord.
Inizia così la nostra vera avventura on the road. Lasciamo il traffico metropolitano su una lunga lingua di asfalto ora ridotta a “sole” tre corsie. Il traffico è sempre intenso anche perchè è domenica e sulle strade ci sono molti vacanzieri. Ora tranquilli e rilassati, seguiamo il lieve e costante pulsare del bicilindrico del King, anche troppo silenzioso.
Ad una velocità costante di 65 miglia orarie, scorriamo affiancati da enormi SUV stracarichi di bagagli, caravan dalle proporzioni titaniche e carrelli che trasportano moto, barche, ATV, canoe e biciclette (anche sedici biciclette su un carrello solo). Il concetto di “grande” in America è leggermente diverso dal concetto europeo: per noi è grande un Range Rover, negli Usa i Range Rover li vedi trainati su carrelli dietro a camper grandi come bilici. La carreggiata sud è ad un campo da calcio di distanza da quella nord su cui siamo noi.
Oltre alla strada, anche il paesaggio inizia a cambiare e si passa dagli enormi cactus che nascono nei dintorni di Phoenix fino ad incontrare verdi cespugli ed alberi a medio fusto ma mano che saliamo verso nord. E anche man mano che scaliamo i margini del Colorado Plateau ovvero l’enorme altopiano a cavallo tra gli stati di Arizona, Utah, New Mexico e Colorado, altopiano che precede le Rocky Mountains e che è solcato appunto dal Colorado River nella sua corsa verso il Mexico. Si sale infatti di quota e, col cielo grigio, comincia a scendere la temperatura.
Siamo ormai entrati nella Prescott National Forest. Per poter indossare una delle felpe appena comprate, ci fermiamo in quello che viene indicato come Sunset Point Rest Area – Vendor machines. Interpreto i cartelli come un’area di ristorazione chiamata Sunset Point. Un’area di parcheggio enorme con servizi igienici grandi e pulitissimi. Ma le vendor machines sono i distributori automatici di vivande, niente bar o ristorante. E’ affollata di turisti ma del tutto priva di personale addetto. Ok, evitiamo di mangiare qui, anche se volendo ci sono addirittura i distributori automatici di hamburger e pizze. L’area è stata studiata per fornire al viaggiatore uno spunto per fare foto e riprese ed infatti si trova proprio ai margini di una bellissima vallata della National Forest. Ne approfittiamo per degli scatti.
Indossati felpe e casco, ripartiamo verso nord. Ma ormai la fame si sente e sono le 14 passate. Ci rifermiamo per mangiare dopo solo poche miglia. Ecco come sono gli “autogrill” Americani: veri e propri villaggi con due o più distributori di benzina, alcuni ristoranti e due o tre motel. Per fermarcisi, si deve uscire dalla highway, non come in Italia dove le aree di servizio sono delle isole monopolistiche.
tipica area servizi sulle hwy statunitensi |
E gli stessi cartelli sulla strada segnalano anche quali tipi di motel o ristoranti ci sono, e a quale uscita, così che puoi scegliere in anticipo. Da fare attenzione al numero dell’uscita che non è progressivo ma corrisponde al miglio dell’autostrada ovvero, se un’uscita è la numero 287 e la prossima è a 10 miglia di distanza, questa non sarà la 288 bensì la 297. Per questo fraintendimento ci è capitato di sbagliare uscita un paio di volte (forse anche tre) poiché le intersezioni con le altre highway sono segnalate, come le uscite, con il numero di miglio corrispondente.
mmm... ci voleva proprio un sandwich |
Dei fast food tra cui un conosciutissimo Mc Donald, un KFC e un Denny’s (tutti nomi di catene di fast food famosi negli States e non solo), scegliamo un SUBWAY che offre sandwiches e insalatone, perché ancora non ce la sentiamo di affrontare il vero e proprio “junk food” americano a base di carne rossa, fritture e salse saporitissime composte da colesterolo e aromi. Stando sul semplice, scegliamo un paio di sandwiches al pollo grigliato con pomodoro e insalata evitando con cura i “dressing” a base di varie salse. Il sapore è squisito ma il pane così così, più simile ad un cartonato che ad una pagnotta. Diet Coke da bere, l’acqua non è disponibile. Per bere prendi e paghi solo il bicchiere delle dimensioni che vuoi: oltre alla “piccola” o “media” c’è anche la “grande”, la “XL”, la “XXL”… oppure ti puoi portare il barile da casa ,riempirlo di ghiaccio, bibita e andare alla cassa a pagarlo. Comunque fai sempre da te e il rabbocco è ovunque gratuito. Paghiamo 20 $ in due. Per la benzina è stato un po’ più complicato ma dopo qualche domanda alla cassiera, ho cominciato a capire. Generalmente si fa da soli, tutto, anche il lavaggio del vetro e il rabbocco dei livelli. Ogni pompa ha il lettore di carta per poter utilizzare la carta di credito o il bancomat (che qui si chiama “debit card”): strisci, selezioni la pompa della benzina in base agli ottani che desideri (la nostra verde senza pb corrisponde alla “89 octanes” denominata anche “plus”) e fai rifornimento. Attenzione che le pompe di color verde corrispondono al DIESEL e, anche se sono abbastanza rare, potrebbero mettere in confusione ogni buon rappresentante italiano che generalmente guida una Opel Astra 1.7 turbodiesel (pompa nera) e fa il pieno alla moto con la super senza piombo (pompa verde). Per quanto ho notato, con la carta di credito non si pagano commissioni per acquisti di carburante come in Italia. In alternativa si può andare alla cassa, farsi addebitare prima sulla carta quanto si vuole spendere, poi fare rifornimento. Se se ne mette meno, il resto viene riaccreditato immediatamente.
Pompa di servizio con più tipologie di benzina |
Oppure con i contanti sempre pagando prima di fare rifornimento ed eventualmente tornare dentro a richiedere il resto. Non esiste che prima si fa il pieno e poi si va a pagare. Comunque la benzina plus va dai 2,90 $ al gallone, in città, fino ai 3,30 $ nelle località turistiche, in pieno regime di mercato liberale (per chi fuma, anche le sigarette hanno prezzi diversi a seconda del negozio ed un pacchetto di Marlboro rosse va sui 5,20 $). Su un Road King ci stanno al massimo 6 galloni che, a 3,78 litri ogni gallone, corrispondono a 22,5 litri… ovviamente se siete a secco. Facciamo quindi due conti: negli USA un pieno alla moto viene 18,00 $ pari a 14,30 € circa (contro i 30 € circa in Italia); se con un pieno fai circa 250 miglia (400 km), spendi 0,072 $ a miglio (0,035 € al km).
Verso le 16 e 30 siamo a Flagstaff, sotto una pioggia battente, fortunatamente con l’impermeabile anti acqua portato dall’Italia. Ma porca miseria, non ho portato i copri scarpa e le mie scarpe Timberland in tela sono fradice. Piccola invece è gaudente perché i suoi nuovi stivali H-D sono asciuttissimi sia dentro sia fuori.
Flagstaff è una cittadina di “montagna” frequentata generalmente dagli abitanti di Phoenix che qui vengono a passare le vacanze e i weekend. E’ un’ottima base di partenza per il Grand Canyon o per la Route 66 essendo che questa attraversa proprio Flagstaff da est a ovest.
Cerchiamo il motel, prenotato dall’Italia. E’ un motel della catena Days Inn denominato Days Inn Flagstaff West Route 66 - 1000 West Highway 66 Flagstaff, AZ. Pagato per una notte 56 € e scelto sia per il prezzo, tra i più bassi, sia per essere posizionato sulla Route 66. La hall è gigante con acquari in cui nuotano pesci del Colorado. Il tizio alla reception , di origine indiana o pakistana, è gentilissimo e non batte ciglio quando mostro il voucher della Easyclick (http://www.easyclicktravel.com/ ) in italiano.
La camera è grande e spaziosa anche se un po’ scura e scalcinata. Nonostante sia per non fumatori, all’interno aleggia un sentore di tabacco e fumo ahimé molto fastidioso. Due letti Queen size, un mio errore al momento della prenotazione, dei quali ne sfrutteremo uno soltanto. All’interno del motel c’è una piscina in cui, nonostante la pioggia, pargoletti americani biondissimi stanno facendo il bagno. Con Piccola invece optiamo per una doccia per poi andare alla ricerca del più vicino dealer HD per acquisti di emergenza. Controllo sull’iPhone e il dealer HD è a 15 miglia di distanza, a Bellemont, lungo la Interstate hwy 40, venti minuti al massimo, sopportabili anche con le scarpe bagnate. Nel frattempo, per fortuna, ha smesso di piovere. In prossimità dell’uscita 185 sulla hwy 40 già si scorge l’arancione insegna del bar & shield. Il negozio è carino, tutto in legno scuro.
Peccato che sono più delle 18 ed è già chiuso. Di fronte, dall’altra parte del parcheggio in ciottoli, c’è però l’Harley Davidson Route 66 Road House: un vero e proprio locale di e per harleysti di chiara proprietà del dealer stesso. Esso sfrutta la sua collocazione, sulla tratta est-ovest in corrispondenza della route 66 (si perché la Interstate hwy 40 sostituisce per un tratto la 66) per attirare biker in cerca di un po’ di caldo ( o fresco a seconda della stagione) con allettanti hot-dog, hamburger, fiumi di birra, un museo di motori vintage e musica dal vivo. Peccato che di domenica pomeriggio ci troviamo solo due vecchi biker con i baffi sporchi di mostarda, la barista e alcuni gadget da comprare. Riusciamo a spendere quasi 45 $ per una spilla e una maglietta a maniche lunghe da donna. La Cola e l’acqua sono imbevibili e le molliamo sul tavolo senza finirle. Comunque il posto è suggestivo e vale la pena visitarlo.
Torniamo a Flagstaff, sta facendo buio e abbiamo fame. Un giro per quei due o tre negozi ancora aperti e poi ci lasciamo attrarre dall’insegna del Buffalo Wild Wings Bar & Grill, 2700 S Woodlands Village Blvd, che pare essere l’unico locale decente, accanto ad uno store di abbigliamento per cow boys che purtroppo a quell’ora è già chiuso. Il Buffalo Wild Wings Bar & Grill è una catena di bar ristoranti con servizio al banco o al tavolo, dedicato agli appassionati sportivi. Il locale è enorme, come tutti da queste parti. Le pareti sono in legno e a tinte blu con affissi ovunque enormi schermi al plasma che mostrano incontri di UFC, una sorta di lotta tipo valetudo con l’aggiunta di dinamiche da reality show, di cui sembra che i gestori siano appassionati. I camerieri sono giovanissimi, probabilmente studenti alle prese con il lavoro estivo. Ordiniamo subito Diet Coke per entrambi specificando bene “with no ice”. Infatti la tendenza generale nei ristoranti è quella di servire enormi bicchieri stracolmi di ghiaccio e cola per poter poi praticare quello che qui è uno sport nazionale: masticata del cubetto di ghiaccio. Noi le preferiamo senza ghiaccio anche perché oggi non abbiamo proprio sofferto il caldo, anzi. Non ancora pratico dei menù dell’Arizona, mi faccio attrarre dal nome semi messicano di un piatto chiamato Queso Chili Fries, come starter (antipasto), per proseguire poi con due hamburger farciti con pomodoro e insalata “no sauces”, senza salse. Peccato che non avevo calcolato le dimensioni delle porzioni: il piatto che ho ordinato come stuzzichino corrisponde ad una piattata enorme di patate fritte (fries) con salsa di formaggio (queso) e peperoni, fagioli neri e salsicce (chili). Tutto pesantissimo ma buonissimo. Ed ecco che la mia dieta, in America, ci abbandona solo dopo 24 ore. Potete verificare di che razza di menù stiamo parlando su http://www.buffalowildwings.com/ .
La serata finisce così, tra un ruttino e una foto scattataci da una famiglia “harley” diretta, in motorhome, a Sturgis… mi ero già dimenticato di Sturgis…
Andiamo a letto, su uno solo dei letti, con la sensazione di non avere ancora capito dove siamo. Perché oggi abbiamo fatto tante cose e tutto ci è passato accanto veloce, più attenti a non sbagliare strada che a goderne, più contenti di essere riusciti ad arrivare che di avere fatto il viaggio, più confusi che soddisfatti…
alla prossima puntata...