domenica 10 ottobre 2010

WEST - il mio primo viaggio nel sud ovest degli Stati Uniti


terza puntata – IL GRAND CANYON E LA MONUMENT VALLEY

2 Agosto 2010

Località: Flagstaff, AZ
Tempo: pioggia
Miglia percorse finora: 204 (328 km circa)




Il letto Queen size per due non è proprio quello che si dice essere l’ideale per uno della mia stazza, anche se l’altra persona è “Piccola”. L’altro letto è stato un comodo tavolo di lavoro sul quale studiare la cartina la sera prima. Apro la porta e fuori piove...

Accidenti, il cielo è grigissimo in qualunque direzione si guardi e non c’è niente che faccia presagire ad un miglioramento nel brevissimo. Inoltre sono senza soprascarpe e le Timberland in tela si sono asciugate appena la notte prima, toccherà ribagnarle. Dopotutto chi mi ha detto che in moto non esiste il bello e il cattivo tempo ma solo la buona o la cattiva attrezzatura? (Walter – ndr).
Facciamo colazione nella hall dell’albergo, davanti all'acquario con i pesciacci del Colorado che mi fissano. Dell’american breakfast salvo solo il caffé che, chissà perché, lungo e bollente è proprio buono. Il caffè negli States è, più che una bevanda, uno stile di vita. Si consuma in bicchieri grandissimi, di polistirolo o addirittura di alluminio “termico” che gli americani chiamano “mug”. Siccome si consuma caldissimo, al limite dell’ebollizione, le mug hanno spesso il tappo anti versamento ed ogni auto americana ha un “porta mug”. Strano ma vero, spesso anche le Harley ce l’hanno. E si consuma con calma, durante l’arco della mattinata ed è per questo che il contenitore è termico. Piccola non intende sbagliare e si prende i suoi cereali classici. Getto un’occhiata alla macchina per i waffel ma ancora non trovo il coraggio e vado per un muffin ai mirtilli. 
Bellissima Street Glide incontrata
davanti al motel.
Super accessoriata con porta mug
e mille altri accessori
super confortevoli

In un attimo di tregua dalla pioggia, carichiamo la moto e rimontiamo in sella. Voglio tornare al concessionario Harley di Bellemont per cercare dei soprascarpe e qualche patch. In venti minuti ci siamo e davanti all’ingresso, nonostante il pessimo tempo, c’è un altro rider su una Street Glide stracarica di bagagli fin mezzo metro sopra il tour pack.
Il saluto è d’obbligo. Ci scambiamo subito qualche frase in inglese. Si chiama Herb Mannis, sui sessanta anni e viene da Fairfax, Virginia. È un tipo molto alto e corpulento, massiccio e dall’aspetto giovanile. I suoi capelli bianchi e folti lasciano intravedere un orecchino ad anello sul lobo dell’orecchio sinistro. Herb è diretto ad Ovest. 
Herb davanti a noi sulla hwy 40
Quando sente che andiamo al Grand Canyon, poiché non c’è mai stato neanche lui, chiede di potersi unire a noi. Nessun problema, è facile fare amicizia. Quindi, mentre Herb corre a lasciare un po’ di bagagli ad un Six Motel nei paraggi, io e Piccola entriamo per lo shopping. Trovo subito i soprascarpa (over boot) e già che ci sono compro anche un paio di guanti interi in pelle poiché ho portato dall’Italia solo i mezzi guanti estivi. Non trovo invece le bubble per il bandit, poco usate in un paese dove il casco non è obbligatorio e al massimo si usa il “padellino”. La commessa, credo di origini nativo-americane, ci prepara il conto. Ce la caviamo con poco più di 100 $ escluse le pin e le patch del chapter resident che invece ci costano una cinquantina di dollari. Rimetto in tasca le mie carte di credito ed esco in tempo per veder tornare Herb alleggerito non poco. Calzati gli over-boot e fatto il pieno al primo distributore lì accanto, ripartiamo tutti e tre verso ovest. Guida la mini colonna Herb, un po’ più sciolto di me nel traffico della highway ma pur sempre ligissimo nel rispetto del codice. Per non dover tornare a Flagstaff, la strada da fare è la interstate hwy 40 fino a Williams per poi uscire sulla “provincial” 64 in direzione nord, verso il Grand Canyon.
Bivio per la 64, direzione
Grand Canyon,
impossibile sbagliare
La 64 è lunga e dritta, come nei migliori film, con ampissimi saliscendi ma tendenzialmente in salita. Il limite di velocità è 45 mph (miles per hour, miglia orarie) ma Herb adesso è un po’ troppo sciolto e sui 60 mph mollo il gas e lo lascio andare per paura di una qualche pattuglia. Se ne accorge e rallenta, capisce. Pare proprio che in prossimità dei parchi, le pattuglie siano un po’ più presenti. Appena lo penso, vedo già un’auto con le insegne e i lampeggianti. Fermo sul ciglio della strada, un poliziotto è intento a multare un tipo su una station wagon il quale non si azzarda a scendere dall’auto. A conferma infatti di quanto letto e sentito dire, pare proprio che l’unica cosa da non fare, quando si viene fermati, è quella di scendere… a patto che non si voglia vedere una Colt calibro .45 dalla parte della canna. In tutto questo , Piccola rimane silenziosa ma si sbraccia ogni qualvolta vede qualcosa di interessante, sia questo un museo di vecchie glorie dell’aria, la ricostruzione delle case dei Flinstone o qualche manifesto con orsi e cerbiatti. 
Piccolo museo dell'aria sulla
strada per il Grand Canyon
E’ il primo parco che visitiamo, non sappiamo bene cosa aspettarci. L’incontro con Herb è pertanto provvidenziale. All’ingresso del parco c’è una specie di casello con all’interno un ranger con il cappellone. Stiamo in coda una quindicina di minuti, non perché ci sia molto traffico ma perché ogni automobilista che arriva a pagare scambia due chiacchiere e chiede un po’ di informazioni al Ranger. Herb fa lo stesso ed è attento al segnalare al Ranger la nostra nazionalità. Infatti, appena sta a noi, “cappellone” ci accoglie con un “ciao” invece del solito “hello” e ci rilascia un opuscolo guida in italiano. 
Io ed Herb all'arrivo al Grand Canyon
in una sosta per spogliarsi dalle tute
anti acqua. Sullo sfondo il casello
d'ingresso al parco
 Invece di pagare, usiamo l’Annual Pass recuperato dal mio amico Gianni, che è stato negli Stati Uniti un mese prima di me per il viaggio di nozze. L’Annual pass, alla lettera “pass annuale”, è una forma di abbonamento che consente di visitare tutti i parchi nazionali e i “federal recreation lands” degli Stati uniti nell’arco di un anno dall’acquisto.

Listino prezzi per l'ingresso
al Grand Canyon



E’ una tesserina plastificata con un codice a barre, acquistabile proprio all’ingresso dei parchi o via internet. Costa 80 $ ed è valido sia per il proprietario sia per gli occupanti dello stesso veicolo a patto che questo non sia un autobus o un truck. E’ valido anche in caso in cui il proprietario guidi un veicolo e i familiari un altro (massimo altre 3 persone) nel caso per esempio di visitatori in moto o in bici. Considerando che l’ingresso singolo costa almeno 25 $, fatti due conti, conviene sempre se si programma di visitare più di tre/quattro parchi l’anno. L’unica cosa, sopra c’è scritto che va firmato e poi esibito insieme ad un documento di identità per il confronto della firma. Ma Gianni mi aveva già messo in guardia che nessun ranger effettivamente chiede il documento. Entriamo quindi senza dover tirare fuori passaporti o patenti. Nel caso mi avessero chiesto un documento, siccome possono firmare due persone, sarebbe bastato aggiungere la mia firma a fianco di quella del mio amico.

Veduta della magnificienza del Grand Canyon
Sul Grand Canyon si è detto di tutto e di più. Interi libri e siti internet parlano di questo luogo unico al mondo sia per dimensioni che per significati. Molti amici Italiani me lo hanno descritto come un luogo dalle vedute affascinanti, talmente grande e profondo da far venire le vertigini al solo ricordo, paragonabile solo ad una veduta dall’aereo. Addirittura i piccoli aerei sfilano a quote più basse di quelle a cui siamo noi e si vedono passare attraverso il Grand Canyon centinaia di metri più in basso. Il Canyon è infatti un enorme “solco” frastagliato, irregolare e profondissimo, scavato in milioni di anni dalle impetuose acque del Colorado River che sgorgano dalle Rocky Mountains per poi proseguire la loro corsa verso sud ovest, verso il Messico.
Altra veduta vertiginosa
del Grand Canyon
E’ una enorme “cicatrice” sul Colorado Plateau, l’altopiano del Colorado, quest’ultimo emerso dai fondali marini durante l’era geologica in cui la faglia dell’Atlantico si è scontrata con la faglia del Pacifico formando quella che è conosciuta come una delle più lunghe catene montuose del pianeta, che attraversa il continente americano dall’Alaska alle Terre del Fuoco Cilene.
I margini superiori (rim) del Grand Canyon, quelli a cui si può giungere con comuni veicoli, sono principalmente tre: North Rim, South Rim e West Rim. Con la 64 si arriva al South Rim, l’area maggiormente frequentata e quindi la più affollata, dove ci sono però anche il maggior numero di Motel e parcheggi. I parchi americani sono infatti pensati come delle “attrazioni” naturali e negli anni il governo Americano ha costruito strade, parcheggi, aree di sosta e di campeggio. I parchi sono facilmente fruibili da tutti, qualsiasi mezzo guidino e qualunque sia la loro condizione fisica. Ci sono sempre delle piste ciclabili, sentieri pedonali ed accessi per i portatori di handicap, anche lungo i sentieri escursionistici.
Io e Piccola al Grand Canyon
Apro la guida che ci ha lasciato il ranger. Questa ha l’aspetto di un giornaletto di 6 pagine, strutturato in modo da darti le informazioni essenziali e da aiutarti a decidere che tipo di escursione vuoi fare anche in base al tempo che hai e ai mezzi di cui disponi. Ci sono tutti i numeri utili e tutti gli alberghi interni al parco (che sono sempre i più affollati e i più cari), il tipo di clima che è possibile incontrare a seconda della stagione e varie mappe oltre a spiegazioni storico scientifiche. È possibile scaricarne una copia anche dal sito governativo dei parchi all’indirizzo www.nps.gov/grca e magari, ad averlo saputo prima, avremmo potuto prendere spunto in fase di programmazione del viaggio.
  Il nostro ruolino di marcia però prevede una sosta di poche ore, tempo sufficiente a fare delle bellissime foto ma insufficiente per qualsiasi tipo di escursione tranne che per quelle in elicottero, che, nonostante siano molto care (250 $ a testa circa) pare valgano i soldi spesi… o almeno così mi hanno detto sia Gianni sia Herb, il quale l’ha provata in gioventù partendo da Las Vegas. Dopo un hamburger, offerto generosamente da Herb, ed un giro nello shop del parco, è gia pomeriggio. È ora di ripartire e salutiamo caldamente Herb. Noi vogliamo continuare verso nord est, verso la Monument Valley mentre Herb deve tornare indietro verso Bellemont dove lo avevamo incontrato. Saluto anche un simpatico scoiattolo che, per niente impaurito dalla mia presenza, cerca anzi di ricevere cibo dalle mie mani. Attenti però perché i numerosi cartelli di avvertimento mettono in guardia da questi roditori che sarebbero in grado di sbranare mani o addirittura contagiare di peste bubbonica a causa delle pulci. Peste bubbonica!? Non l’avevano debellata nel diciassettesimo secolo?
Un simpatico abitante del Grand Canyon - foto di: Samurai
Stazione di servizio sulla 89
Intanto il cielo si è rimesso e al sole fa discretamente caldo ma niente di insopportabile, basta togliersi felpa e giubbotto. Per lasciare il Grand Canyon è necessario proseguire sulla 64, in direzione opposta a quella da cui siamo arrivati. Da Qui in poi diventa “scenic route”, strada panoramica. Cosa vogliamo di più? Scendiamo costeggiando il rim ed emettendo gridolini estasiati ogniqualvolta uno spazio tra gli alberi ci apre la vista all’immensità del Canyon. È così per quasi 85 miglia, fino a Cameron dove, all’incrocio con la Highway 89, ci fermiamo per fare benzina e una piccola sosta. Sono quasi le 4 del pomeriggio. Dal porticato dello store della stazione di servizio, seduto sulla moto parcheggiata, osservo il traffico sulla 89 e guardo con un po’ di invidia l’incessante flusso di Harley che scorre verso nord, verso Sturgis. Il popolo biker degli States è in piena migrazione, tra pochi giorni inizia la bike week di Sturgis, in South Dakota, forse il più grande raduno di Harley al mondo e meta ambita da ogni biker.
il Sole come ci appare...
Ahimé, nonostante non sia mai stata così vicina, rimane per noi sempre troppo lontana. Ci accontenteremo di viverla attraverso lo spirito di chi ci passa accanto. Via di nuovo verso nord sulla 89 e poi verso nord est sulla Highway 160.
... e il paesaggio come ci appare
Da qui in avanti il terreno diventa sempre più brullo e arso, siamo in pieno deserto. Il paesaggio è surreale e “marziano”, bruno e rosso, incupito dal cielo nuvoloso e dal sole che dura fatica a penetrare la fitta coltre di nuvole grevi. Piccola scatta foto all’impazzata ed ogni pietra ed ogni picco è per lei degno di una posa, senza alcun riguardo per la batteria della Canon.
Singolari scorci panoramici
lungo la 160
Da circa un’ora incrocio soltanto qualche vecchio pick up e adesso, nonostante ancora non piova, comincia a fare freddo. Nei pressi di un villaggio chiamato Tonalea, mi fermo in una stazione di servizio per indossare felpa e giubbotto. Davanti allo store ci sono solo nativi americani, Navajo, e sudamericani. Come Juan, singolare personaggio che ci abborda chiedendoci un dollaro per mangiare o più probabilmente per bere. La strada prosegue planare e dritta e solo a Kayenta faccio la prima curva dopo più di un’ora. Giro a sinistra per immettermi sulla 163, la highway che passa attraverso la Monument Valley (pronunciatela maeniument velly o Juan non vi capirà).

Arrivo alla Monument Valley
È in pratica un tratto della strada che i protagonisti di Easy Rider percorrono per andare al martedì grasso di New Orleans (se non avete mai visto Easy Rider, cambiate sito, non siete degni di leggere queste pagine). Ora l’eccitazione sale, sta per arrivare il momento che più di tutti ho sognato progettando questo viaggio. Siamo nella Monument Valley. La Monument ha un significato per me quasi mitologico, non ci sono parole per descriverla. Devo solo ringraziare Walter per averci suggerimento di arrivarvi sul tramonto.

 
Veduta panoramica della Monument Valley fotografata
da Samurai
Su quest’ora, il sole basso all’orizzonte scalza le nubi e tinge i mastodontici picchi di rosso in un fortissimo contrasto con la verde prateria rinvigorita dalle recenti piogge. Non c’è angolazione che non meriti una foto ed è un peccato che la batteria della macchina sia quasi scarica. Riesco comunque a portarmi via un ricordo fantastico.  
Anche Piccola è emozionata, quasi in estasi alla vista del panorama, inebriata da tanta selvaggia bellezza. È difficile distogliere lo sguardo ed è solo facendoci violenza che riusciamo a ripartire per raggiungere il prossimo villaggio, Mexican Hat, Utah.
Mexican Hat è così chiamato per la presenza di una formazione rocciosa che ricorda un uomo con il sombrero ed è uno dei pochi villaggi degni di nota in prossimità della Monument.
Località piccolissima, conta la presenza di due/tre motel tra cui il San Juan Inn & Trading Post, un motel che si sviluppa lungo una parete rocciosa praticamente a ridosso del San Juan River e del ponte che lo attraversa. Non è prenotabile on line dall’Italia ed è, a quanto pare, sempre pieno. Dietro consiglio di Walter, abbiamo prenotato la nostra camera via e-mail già da luglio. L’indirizzo e-mail si trova sul sito www.SanJuanInn.net e la prenotazione richiede un minimo di conoscenza della lingua inglese. 
Il bungalow - camera
San Juan Inn & Trading Post

A noi è bastato lasciare il numero della carta di credito per riservare una camera con letto King size. Mai ci potevamo immaginare che la camera sarebbe stata una specie di bungalow in legno. Di forma circolare e dalle rifiniture molto ben curate, il bungalow è discosto trecento metri dall’edificio della reception tant’è che per andare a scaricare i bagagli dobbiamo risalire in moto. La porticina d’ingresso è molto piccola. Un cartello alla porta spiega che, per segnalare la presenza in camera, è consigliabile accendere una lampadina posta all’esterno… ma la nostra è rotta, unica vera nota stonata dell’ambiente. 
Piccola all'interno del bungalow

Vista dalla camera
il Mexican Hat
Al centro del soffitto, proprio sopra un grande tavolo di legno, vi è una cupola trasparente, unico punto luce se non consideriamo la finestrella sulla porta d’ingresso. Dalla veranda antistante il bungalow si vede la pietra del Mexican Hat. Il letto è alto e comodo. Walter ci ha parlato tantissimo dell’ Olde Bridge Grille, la steak house di Mexican Hat famosa per la griglia “oscillante”. Siamo curiosi ed affamati. Dopo una doccia veloce, usciamo a piedi in cerca di una scia odorosa che ci porti alla griglia. Il rinomato ristorante dall’insolita attrezzatura è accanto all’altro motel, il Mexican Hat Lodge, a cinquanta metri dal nostro bungalow. La griglia è “oscillante” perché, pensate un po’, oscilla! È attaccata ad una specie di dondolo sospeso sulle braci fiammeggianti. Sopra vi giacciono alte bistecche ed hamburger mentre un cowboy attento doma carne e fiamme con un forchettone. Non so quanto “l’oscillazione” faccia bene alla qualità della cottura, sta di certo che la resa è scenografica e suggestiva.  
Il bracere oscillante

La fantastica cena
Scegliamo un tavolo per due, un po’ defilato anche perché nel ristorante ci sono un sacco di italiani e proprio stasera non ce la sentiamo di “tornare in Italia” tra discorsi “italiani”. Menù da consigliare è una bistecca accompagnata da fagioli messicani, pane abbrustolito ed un paio di birre messicane, Corona oppure Dos Equis (XX).
E’ da vedere anche il museo interno al ristorante dedicato a Marion Robert Morrison, in arte John Wayne. Si è fatto tardi e siamo stanchi. Pagato un conto di appena 70 $, ci incamminiamo verso il letto. La totale assenza di luci e lampioni rende la notte un inchiostro nero costellato di miliardi di stelle, così luminose da non crederci. Ci addormentiamo guardando la via lattea dall’oblò sopra le nostre teste, in una notte di sogni diventati realtà.